Sicurezza
Sulla carta entrambe le escursioni non sono proibitive o particolarmente dure. Non ci sono scalate da affrontare, né passaggi veramente pericolosi. Anche i dislivelli da superare non sono eccessivi. La distanza da coprire per arrivare a Knivskjellodden poi è alla portata di tutti, anche senza essere allenati.
Eppure non mancano le insidie.
Sono il vento freddo che frusta coste e altipiani, la nebbia e le nuvole basse che nascondono i cippi e i segni di segnalazione del sentiero, o peggio la pioggia che inzuppa i vestiti, moltiplica i fanghi e rende scivolosa la roccia. Ma più di tutto sono i sassi. Sassi ovunque: sassi affioranti che levano le loro subdole punte dalla terra molle, sassi che rotolano tradendo l’appoggio, sassi su sassi che minacciano costantemente le caviglie impedendo la “passeggiata a piè leggero”.
A questo si aggiungano i passaggi di traverso sulla nuda pietra vicini al mare o a crepacci, il rischio di imboccare false piste che complicano l’escursione e il pericolo sempre presente di un improvviso guastarsi del tempo, ed ecco che quella che sembra all’inizio una scampagnata con qualche saliscendi, si trasforma in una piccola ma impegnativa impresa.
Scarpe da trekking e gambe solide, acqua a sufficienza e qualche cosa da mettere sotto i denti per recuperare energia, quel che serve per ripararsi da pioggia e vento (anche se alla partenza il sole splende) e un eventuale cambio, mappe, bussola o GPS e cellulare carico sono le cose da non dimenticare. Insieme alla solita prudenza, al buon senso e a quel minimo di spirito di sacrifico necessario per arrivare a destinazione, naturalmente.
Escursione
Tra i due “estremi”, Knivskjellodden è decisamente il più abbordabile. Sono 18 chilometri tra andata e ritorno, liquidabili in 6 ore di marcia, o anche in 5 se si ha passo lesto e non ci si attarda nella sosta in punta una volta arrivati. Sempre che il tempo non sia inclemente. In ogni caso, se arrivate nel pomeriggio, il consiglio è di rimandare l’escursione al mattino dopo.
Il sentiero, che prende avvio dal parcheggio puntando verso la collina di destra, è ben segnato da cippi fatti con cumuli di sassi, soprattutto nella prima lunga porzione che viaggia sull’altipiano. Si parte a 300 metri sul livello del mare. Sopra un terreno sassoso, a tratti più arido e secco, in altri più erboso o fangoso, con piccoli attraversamenti di pozze d’acqua facilitati da assi di legno messe a bella posta, si procede tra colline di tundra e sguardi di renne. A seconda della stagione e del tempo, si incroceranno più o meno (o anche per nulla) gli sguardi e i cenni di saluto degli escursionisti sulla via del ritorno.
Dopo circa 5 chilometri di apparente saliscendi si avverte con più evidenza che in realtà si sta scendendo mentre, a circa 6 chilometri e mezzo dalla partenza, si spalanca finalmente la vista sulla baia di Knivskjelvika. In meno di 500 metri si scende di altri 120 metri, attraversando una prateria erbosa più riparata e solcata da un corso d’acqua, fino a guadagnare, la spiaggia di sassi ed erba dove andare a salutare il Mar glaciale.
Ma non è finita qui. Anzi, a dispetto della poca distanza che manca, adesso inizia la parte più difficile dell’andata.
Si deve infatti seguire la costa di sinistra che porta al promontorio, ma qui il sentiero è meno evidente. Ci sono cumuli indecisi di sassi, T rosse che sbiadiscono sulle rocce e un dedalo di tracce di camminamenti diversi che disorienta. In sostanza la via la tracci da te, improvvisandola sul momento, lungo un crinale roccioso, in alcuni punti piuttosto ripido, ricco di crepacci, scivoli di pietra e scogli che ammarano. Affrontare questo tratto in una giornata asciutta di sole può essere divertente, in una umida e ventosa o sotto la pioggia può essere defatigante, in condizioni di tempo estremo, magari con neve o peggio verglas in agguato, decisamente pericolosa.
Bisogna avanzare così per un altro chilometro e mezzo, risalendo di nuovo dal livello del mare fino a circa 30 metri, quando si vedrà spuntare il tronco di piramide che riporta incise le coordinate “estreme”. Avremmo raggiunto anche un più agevole ripiano erboso che ci permette di muoverci in sicurezza, godendoci la vista splendida di Nordkapp, con la sua magnifica falesia bruna a picco sul mare, e sulla quale, condizioni meteorologiche permettendo, si riuscirà anche a scorgere la cupola bianca dell’osservatorio, la sfera-monumento e addirittura il brulicare di turisti che s’affacciano.
Poco distante dal cippo, un po’ più a monte, c’è la cassetta con il libro delle firme. Volendo, prendendo il numero di riga o una foto della propria testimonianza si potrà andare a Nordkapp a ritirare (pagando) l’attestato di passaggio a Knivskjellodden.
In realtà non siamo proprio giunti alla meta. Mancano ancora qualche decina di metri prima di raggiungere l’estremissimo, sullo “scoglio Nord” o meglio quello che la marea rende l’ultimo sasso calpestabile (in sicurezza). La bussola o un GPS aiuteranno a individuare quel punto.
Ecco, ora ci siete. Organizzatevi per la foto. Godetevi il “nient’altro” che avete davanti. Respirate l’atmosfera inafferrabile di un non-luogo. Bevete. Mangiate qualcosa.
Il ritorno sarà più facile solo perché lo conoscete già. Per il resto sarà più difficile e faticoso: avete già 9 chilometri sulle gambe, il percorso è in salita, state tornando e sembrerà senza fine.
Una volta rientrati in camper, liberati di zaino, scarpe e vestiti fradici, una doccia calda, vestiti asciutti e comodi, una bevanda bollente, un comfort food consumati magari sotto un tramonto nordico, saranno il giusto suggello a una giornata indimenticabile.